“Oltre” l’alcol e le sostanze stupefacenti
Nell’immaginario comune le persone che utilizzano sostanze d’abuso e alcolici lo fanno per alterare la percezione del mondo e di sé stessi e per ricercare il classico “sballo”. Si tratta quindi una attività condotta a scopo prevalentemente ludico-ricreativo, incurante degli effetti dannosi a medio-lungo termine che deriva dall’uso protratto di droghe, come ad esempio eroina e cocaina. Solitamente infatti tali persone finiscono con lo sviluppare il “craving” (desiderio psicologico spasmodico) per la sostanza d’abuso che li porta a mettere a rischio la propria incolumità e a mettere in secondo piano famiglia, amici e professione.
Tuttavia, esiste anche una moltitudine di pazienti affetti da dipendenza con caratteristiche psicopatologiche differenti e che utilizzano bevande alcoliche e sostanze stupefacenti come cura ad un malessere psichico; quindi il fenomeno non assume le caratteristiche di un “semplice passatempo”, ma piuttosto di una sorta di “cura” fai-da-te per un disagio psichico ed emotivo presente antecedentemente. Per capire bene cosa abbiamo di fronte è auspicabile coinvolgere i familiari che potrebbero aver colto delle alterazioni della personalità o delle normali abitudini di vita prima dell’inizio dell’abuso e/o della dipendenza; da questo punto di vista possono entrano in gioco anche i medici di base, che conoscendo il paziente potrebbero essersi resi conto di alterazioni pre-morbose del tono dell’umore e del funzionamento socio-lavorativo. Bisogna cercare quindi di andare a costruire a ritroso quella che è la storia personale del paziente per identificare elementi stressanti e di rottura che possono aver causato ferite mai rimarginate e che con il passare del tempo hanno portato la persona a “stordirsi”, al fine di non sentire più alcun tipo di sofferenza (seppur solo momentaneamente).
In alcuni casi i diretti interessati sono in grado di rendersi conto di utilizzare le droghe come un auto-medicamento, mentre in altre situazioni hanno bisogno dell’aiuto di un interlocutore per far emergere quello che può configurarsi a tutti gli effetti come un disturbo d’ansia o dell’umore. E’ in questo momento che entrano in gioco figure come lo psicologo o lo psichiatra, i quali risultano essere i principali operatori quando si tratta di benessere psichico e salute mentale. Uno degli obbiettivi primari di un colloquio psicologico o di una visita psichiatrica è approfondire quella che è la sofferenza alla base di tutto e che spinge la persona a rifugiarsi nell’alcol o nelle sostanze: può trattarsi di un lutto, di un trauma o di qualcosa maggiormente indefinito e non configurabile con un evento di vita preciso: non di rado, e soprattutto nel caso di adolescenti e giovani adulti, i pazienti riferiscono di essersi sentiti “depressi” o “diversi dagli altri” da sempre nella loro vita e questa incapacità a rispecchiarsi negli altri li porta ad estraniarsi e anestetizzarsi psicologicamente e “chimicamente”. Aiutare queste persone a dare un nome alla loro sofferenza e, di conseguenza, a trattare in maniera mirata il problema alla base contribuisce in maniera sensibile al distacco dagli alcolici e dalle droghe, permettendo un ritorno più veloce alla normalità e al benessere psicofisico. Occorre sottolineare come l’intervento maggiormente efficace è quello più precoce, dato che prima si interviene e maggiori sono le possibilità di disassuefazione e di conseguenza di promozione di schemi di pensiero e di comportamento maggiormente adattivi in termini personali, relazionali e lavorativi. Il percorso di disintossicazione è estremamente arduo e complesso e talvolta viene compromesso da una scarsa motivazione al cambiamento che a sua volta spesso risente in maniera negativa dei scarsi passi in avanti che il soggetto riesce a percorrere: in questi casi i pochi miglioramenti possono rappresentare dei campanelli di allarme e destare quindi il sospetto che ci si trovi di fronte a due problematiche differenti, di cui una appunto non evidente inizialmente. Sarebbe inutile intestardirsi e focalizzarsi esclusivamente sulla problematica di dipendenza, dato che non si otterrebbero ulteriori risultati positivi avendo anzi solo maggiore frustrazione, rabbia e tristezza da parte del paziente; risulterebbe invece più proficuo trattare il problema alla radice, in modo che venga meno il desiderio del paziente di rifugiarsi nelle sostanze d’abuso. Provate a pensare ad un castello di carte dove l’apice rappresenta ad esempio l’alcolismo e la base invece rappresenta un disturbo depressivo: se noi andiamo a buttare giù le carte più in cima difficilmente crollerà giù tutto il castello, cosa invece che avverrà con maggiore facilità se ci concentriamo sulle carte alla base.
L’articolo quindi voleva porre l’accento sulla tendenza diffusa ad etichettare le persone con una dipendenza come individui che hanno fatto la loro scelta in maniera deliberata e consapevole, ma spesso tali problematiche nascondono un disagio interiore più profondo che necessita di un aiuto concreto e specialistico.
A cura di:
Giuseppe De Vincenti
Psichiatra – Psicoterapeuta a orientamento cognitivo-comportamentale
Medico psichiatra specializzato nei Disturbi dell‘Umore e nei Disturbi del Comportamento Alimentare
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