La forza gentile: il potere trasformativo della compassione
La compassione è una delle emozioni più potenti e universalmente riconosciute nell’essere umano. Ma cosa significa realmente dal punto di vista psicologico? Spesso associata alla gentilezza e al desiderio di aiutare gli altri, la compassione ha un ruolo importante non solo nelle relazioni sociali, ma anche nel nostro benessere emotivo e mentale. In questo articolo, esploreremo il concetto di compassione secondo la psicologia, scoprendo come funziona e perché è così importante nella nostra vita quotidiana.
Paul Gilbert, uno psicologo britannico che ha fondato la Compassion-Focused Therapy (CFT), definisce la compassione come la capacità di riconoscere la sofferenza in noi stessi e negli altri e di sviluppare un desiderio genuino di alleviarla. A differenza della semplice empatia, che si limita a comprendere il dolore di un’altra persona, la compassione è accompagnata da un impulso attivo verso l’aiuto e il supporto. Questo significa che la compassione non è solo un’emozione passiva, ma un sentimento che ci spinge all’azione.
La compassione, dunque, include due componenti principali: la sensibilità alla sofferenza, cioè il riconoscimento del dolore o del disagio proprio o negli altri, associata all’impegno, l’intenzione o il desiderio di alleviare la sofferenza attraverso il sostegno emotivo o pratico.
La compassione non riguarda quindi solo la consapevolezza della sofferenza, ma include anche la motivazione a fare qualcosa per aiutare chi soffre.
Gli studi sulla compassione per comprenderne gli effetti sul benessere e sulla salute mentale sono relativamente recenti. Inizialmente considerata una qualità morale o filosofica, negli ultimi decenni è stata riconosciuta come una risorsa psicologica essenziale per la salute emotiva.
Attraverso la RMN funzionale è stato dimostrato che la compassione attiva parti specifiche del nostro cervello, in particolare quelle legate all’empatia, al senso di sicurezza e alla cura. Quando pratichiamo la compassione, sia verso gli altri che verso noi stessi, si attivano i circuiti neuronali che regolano le emozioni positive, come il sentirsi connessi e protetti: ciò contrasta il sistema “di minaccia” del cervello, che è responsabile delle emozioni come paura, ansia e stress.
Quando proviamo compassione, il cervello rilascia ossitocina, un ormone associato alla calma e alla costruzione di legami sociali, e riduce i livelli di cortisolo, l’ormone dello stress: la compassione può avere effetti dunque diretti sulla nostra capacità di gestire lo stress e le emozioni difficili.
Un aspetto fondamentale della compassione è la compassione verso sé stessi, o autocompassione, concetto approfondito e reso popolare dalla psicologa Kristin Neff. Essa riguarda la capacità di trattare se stessi con gentilezza e comprensione nei momenti di difficoltà o di fallimento: invece di punirci per i nostri errori o mancanze, l’autocompassione ci insegna a riconoscere che soffrire o commettere errori è parte dell’esperienza umana.
La Neff identifica e propone metodi per sviluppare tre componenti dell’autocompassione:
- Avere gentilezza e amorevolezza per se stessi, imparare a trattarsi con la stessa gentilezza e pazienza che riserviamo agli altri.
- riconoscere che la sofferenza e gli errori fanno parte della condizione umana e che non siamo soli nei nostri momenti difficili.
- essere consapevoli delle proprie emozioni senza giudicarle o reprimerle.
L’autocompassione è stata associata a numerosi benefici psicologici, tra cui una maggiore resilienza emotiva, una riduzione dell’ansia e della depressione, e una migliore capacità di affrontare le difficoltà quotidiane.
La compassione, quindi, non è solo una “forza gentile”, ma anche una forza trasformativa: è essenziale per il nostro benessere psicologico e fisico. Numerosi studi hanno dimostrato che le persone che praticano la compassione, sia verso sé stesse che verso gli altri, hanno una salute mentale migliore. In particolare, l’autocompassione è stata collegata a livelli più bassi di depressione, ansia e ruminazione mentale (la tendenza a ripensare continuamente agli errori o ai fallimenti), dato che ci aiuta a spezzare i cicli di autocritica e a trattarci con più gentilezza.
Essere compassionevoli verso gli altri migliora la qualità delle relazioni: quando siamo in grado di riconoscere e rispondere alla sofferenza altrui, creiamo legami più profondi e autentici. Le persone che praticano la compassione sono viste come più empatiche e di sostegno, il che può rafforzare amicizie, relazioni familiari e collaborazioni professionali.
La compassione non solo promuove il benessere psicologico, ma ha anche effetti benefici sulla salute fisica. La riduzione dello stress grazie alla pratica della compassione è stata associata a una migliore salute cardiovascolare, una riduzione dell’infiammazione e un sistema immunitario più forte. Quando sviluppiamo la compassione, soprattutto verso noi stessi, diventiamo più resilienti. La compassione ci permette di affrontare le sfide della vita con maggiore serenità, accettando le difficoltà come parte della condizione umana e mantenendo una prospettiva equilibrata, anche nei momenti difficili.
La buona notizia è che la compassione è una qualità che può essere sviluppata e coltivata. Esistono vari modi per farlo: dei protocolli per imparare a essere compassionevoli, una psicoterapia basata sulla compassione (CFT), ma anche dei semplici e piccoli gesti quotidiani di gentilezza verso gli altri e verso sé stessi possono aiutare a sviluppare questa qualità nel tempo. In un mondo spesso frenetico e stressante, coltivare la compassione è possibile e può diventare uno strumento prezioso per migliorare la qualità della nostra vita e la vita di chi ci sta intorno.
A cura di:
Antonella Stella
Psichiatra, Psicoterapeuta, Istruttore protocolli mindfulness
Antonia Cristina Sabbion
Counselor, Istruttore Protocolli MBSR (Mindfulness-Based Stress Reduction)