Il disturbo da attacchi di panico. La testimonianza di Alessia.
Vi racconto l’esperienza di Alessia (nome fittizio), ventiduenne studentessa in lingue straniere, che ha chiesto un sostegno psicologico per superare il panico, o meglio superare la paura del panico, perché “vivo con un costante senso di pericolo dal quale voglio correre al riparo”.
Circa un mese prima del nostro incontro, mentre studiava con degli amici in biblioteca, Alessia ha sperimentato il primo potente attacco di panico: “L’ho sentito arrivare all’improvviso, prima il cuore ha iniziato a battere forte, poi ho iniziato a sudare freddo. Mi sono spaventata e ho provato a concentrarmi sul respiro ma mi sentivo soffocare. Avevo un dolore a livello toracico. Ho tentato di muovermi verso l’uscita con la certezza che non ce l’avrei fatta. Avevo le vertigini e temevo di morire. Contemporaneamente ho provato un senso di ridicolo, ho pensato che non fosse una morte dignitosa.”
Questo racconto è simile a molti altri: senza un apparente motivo si scatena il panico. Non è l’ansia situazionale di chi si espone in un contesto che suscita ansia, come il parlare in pubblico o affrontare degli esami o delle persone che ci intimoriscono. Si tratta di un’inspiegabile alterazione percepita a livello fisico: la persona pensa di avere un infarto o un ictus o di “impazzire”.
Alessia si è recata al Pronto Soccorso dove hanno eseguito gli esami necessari per scartare ipotesi di patologie cardiache, polmonari e gastrointestinali, dopodiché le hanno proposto una consulenza con lo psichiatra di guardia che le ha prescritto una terapia farmacologica assieme a delle indicazioni pratiche per contrastare eventuali crisi di panico. Nel mese seguente Alessia ha avuto ricorrenti attacchi e ha vissuto con la paura di trovarsi da sola o al chiuso, senza una facile via di uscita, in situazioni dalle quali sarebbe difficile o imbarazzante allontanarsi o trovare un aiuto in caso di panico. Ha evitato di viaggiare in treno, in autobus o guidare l’auto, stare in mezzo alla folla o in coda, e così via.
L’ansia anticipatoria e le strategie d’evitamento, assieme al massiccio controllo dei segnali fisici e al bisogno di trovare continue rassicurazioni dalle persone che le stavano accanto, erano diventate per Alessia un problema ancor più invalidante dei singoli attacchi di panico, i cui i sintomi di norma raggiungevano l’apice entro 10 minuti e scomparivano nel giro di altri pochi minuti, lasciando solo poche tracce se non, appunto, la paura di un altro attacco.
Noi ora sappiamo che, per quanto terrificante sia un attacco di panico, non è tuttavia pericoloso per l’integrità fisica. Piuttosto è coinvolta l’identità della persona: la profonda convinzione che ogni individuo ritiene di avere di sé e che gli permette di giocare un ruolo sociale. E’ la risposta a “chi sono Io?”
Il panico ci informa che il crollo è avvenuto a livello identitario/personale. La dimensione fisica che è una sua importante componente, si allerta e la persona si sente sopraffatta da questa risposta spostando su di essa tutta la sua attenzione, con il terrore della morte o della pazzia che evoca.
Con Alessia ho condiviso questa ipotesi, coinvolgendola nella ricerca di senso e di significato del panico:
Se il corpo ci parla, cosa ci sta dicendo?
Perché proprio ora?
Dove sta il pericolo?
Cos’è inaccettabile per il tipo di persona che è Alessia?
Cosa sta già succedendo?
A cosa sta andando incontro?
Alessia ha iniziato a contestualizzare questa crisi e a metterla in relazione con la necessità di affrontare dei veri e propri compiti evolutivi, pur non sentendo di avere le risorse adeguate per farlo.
I genitori le avevano detto che potevano finalmente separarsi, come se lei ormai grande non avesse più bisogno di saperli assieme e uniti. La sollecitavano andare all’estero come molti suoi coetanei. Aveva per la prima volta la sensazione che volessero sbarazzarsi di lei, quasi come un peso. Alessia si chiedeva se era stata sempre ingannata? Non capiva. Proprio lei che aveva bisogno di capire tutto e di solito era proprio così: sveglia, intuitiva e perspicace, non le sfuggiva nulla.
Le amiche da qualche tempo erano poco presenti e prese dalle loro cose, la invitano quasi esclusivamente per studiare. Lei accettava, ma era a disagio perché sentiva i loro progetti, ambizioni e sogni da realizzare. Lei non ne aveva. Si chiedeva cos’aveva che non andasse bene: non si era mai sentita così sola in mezzo agli altri. Non si capiva più. Inoltre soffriva per aver lasciato, qualche settimana prima dell’attacco di panico, il ragazzo con il quale stava da 7 mesi. Una storia diversa dalle precedenti, molto intensa. Lui, che si mostrava sempre molto sicuro, con lei si era aperto e aveva condiviso una vulnerabilità disarmante, tanto da far emergere paure e traumi vissuti in famiglia e lei si era sentita speciale come mai. La vera criticità riscontrata da Alessia in questo ragazzo era l’utilizzo di sostanze durante le, purtroppo, frequenti serate. Lei aveva messo un out out, se esagerava oltremodo non poteva stare con lei. Dopo solo una decina di giorni era ricaduto. Alessia si chiedeva Come posso fidarmi? Come aveva fatto lei a credergli che per amore sarebbe cambiato? Inoltre c’è un’altra cosa che forse dovrei dire … un amico di famiglia le ha proposto di partecipare come traduttrice ad un evento a Firenze e lei ha temuto, o meglio fantasticato, che possa farle delle avance, pur non avendo nessun vero motivo per pensarlo. “Sto impazzendo? Non mi riconosco più.”
Nel giro di soli pochi incontri Alessia mette insieme quelli che le sembravano frammenti separati della sua esperienza e li ricostruisce in una trama che acquista forma a poco a poco. Riconosce di aver oscillato tra il desiderio di sicurezza e il bisogno di realizzarsi, come se fossero incompatibili, cercando infine di eludere questo compito.
Sappiamo che l’attacco di panico è sempre un fenomeno molto complesso le cui componenti sono ampiamente integrate e circolarmente correlate. Possiamo riconoscere almeno una componente familiare, quando ad esempio i membri faticano a calibrarsi rispettando le reciproche posizioni; una componente individuale, con le paure e angosce della ridefinizione di sé; una componente socio-culturale, con le infinite possibilità che questo nostro tempo offre senza tollerare incertezza e frustrazioni, perché anche il benessere psichico sembra un imperativo sociale.
Alessia racconta così il suo percorso psicologico: “Ero dubbiosa sull’intraprendere una psicoterapia, ma sentivo che dovevo provarci. Essere stata ascoltata e capita mi ha aiutato ad andare oltre la mia vergogna e raccontare il dramma di quei giorni ingovernabili in cui mi sembrava di non avere più potere su nulla. Abbiamo trattato il tema della paura della paura, di come si esprime e di come affrontarla. La terapeuta mi ha suggerito delle letture all’interno delle quali c’erano schede di automonitoraggio e utili informazioni sulle emozioni – risposte fisiologiche che non vengono riconosciute per quello che sono. Anzi diventano lo stimolo che provoca paura, amplificandola: avevo paura di sentire il mio cuore accelerare, anziché leggerlo come un segnale fisiologico in risposta alle mie difficoltà. Ho imparato ad accettare la paura e decodificarne il messaggio, per muovermi con più consapevolezza e coraggio. Ho appreso tecniche di respirazione e di auto-aiuto da mettere in pratica mentre mi esponevo gradualmente in situazioni difficili da gestire. Ma soprattutto ho imparato ad osservare i miei pensieri e collegarli con quello che abbiamo chiamato il -mio personale stile relazionale- e a mano a mano che diventi consapevole ed impari ad osservarti, la paura si scioglie e questa lascia il posto alla curiosità: sono io che desiderio di riannodare il filo delle mie stesse idee, anche se non è facile. Capisco che ciò che si è, lo si diventa. Capisco che crescere rende precario l’equilibrio e capita di trovarsi disorientati, insicuri di sé e della propria posizione rispetto gli altri. Allora diventa difficile il camminare sul filo dei giorni. Per me andare in terapia ha significato ammettere di aver bisogno degli altri ma per scoprire che solo io posso osare per me stessa. La psicoterapeuta mi sostiene proprio come l’acqua del mare quando ci si affida. So che la sua porta rimarrà sempre aperta, ora sono partita per uno stage ma posso contattarla via skipe e questo pensiero mi fa star bene. Mi sto orientando in un nuovo ambiente, ho accettato con consapevolezza di allontanarmi e mettermi in gioco. A volte mi sono sentita smarrita però senza cadere in crisi di panico, anzi provando stupore per me stessa per poter essere li, disposta anche a perdermi “
A cura di:
Alessandra Favaro
Psicologa – Psicoterapeuta costruttivista
Membro Associazione Italiana Formatori (AIF)
Psicologia e psicoterapia clinica individuale e di coppia
Supervisone casi clinici individuale e di gruppo
Formazione Medici, Psicologi, Operatori Sanitari
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