Guardiamo i nostri figli negli occhi
Cresce il disagio degli adolescenti, confusi e disorientati dalla società e da un periodo di naturale ricerca di sé stessi. Li vediamo, ma non li osserviamo. Li sentiamo, ma non li ascoltiamo.
Prima la pandemia e ora la guerra hanno esacerbato i disagi degli adolescenti che, però, esistevano già. Ci troviamo di fronte ad un rischio, ed è quello di attribuire alla pandemia le responsabilità di un disagio adolescenziale che invece era già presente prima. Le modalità di esprimere il disagio degli adolescenti negli ultimi anni, disturbo della condotta alimentare, ritiro sociale, gesti autolesivi, tentativi di suicidio, erano già presenti e sono il grande “non detto” della società. Molto spesso, nella relazione tra figli e genitori, ma più in generale, anche rispetto alla relazione tra studenti e docenti, il tema è che, negli ultimi anni, c’è una fragilità adulta straordinariamente importante ma si punta tutto sulla responsabilità delle crisi adolescenziali, riconducendole prima a internet e oggi alla pandemia. Dobbiamo capire cosa abbiamo appreso da questo periodo storico e cosa abbiamo appreso da quello che deve essere il nostro ruolo di padri, di madri, di insegnanti.
La famiglia ascolta i figli molto più di quanto venisse fatto in passato. Il problema è che l’ascolto odierno degli adulti è un ascolto che non è in grado di sentire davvero cosa hanno da dire i ragazzi. La verità è che i bambini di oggi crescono con l’esperienza di una società dove gli inciampi, le cadute, le frustrazioni, il dolore, i pensieri tristi e le emozioni negative non sono contemplati e tutto questo, durante l’adolescenza, crea delle difficoltà enormi. E questo esisteva già prima del Covid. Famiglia e scuola sono modelli di identificazione limitati rispetto al passato. Prima, contavano solo scuola e famiglia. Oggi, ci sono una serie di competitor straordinari nei modelli di identificazione dei bambini, fin da piccoli. Se non li ascoltiamo, questi adolescenti, è chiaro che aumenterà il potere orientativo di altre agenzie che non hanno un ruolo educativo: gli youtuber, gli influencer e il gruppo dei coetanei.
I bambini, oggi adolescenti, crescono consapevoli del fatto che gli adulti sono poco propensi ad accettare i fallimenti, i dolori, le difficoltà, come parte costituente del processo di crescita. I giovani affrontano la vita sotto lo sguardo angosciato degli adulti che vacillano ogniqualvolta hanno difficoltà, non socializzano abbastanza, non stanno ai tempi di una precocizzazione delle esperienze. Il rischio è che la persona crolli con l’arrivo dell’adolescenza, dove poi l’identità la deve costruire, dove il corpo con cui deve fare i conti è quello della trasformazione biologica e dove la spinta a dover stare bene a tutti i costi è difficile da gestire. Stiamo assistendo ad una precocizzazione dell’infanzia, in cui si pretende di far diventare i bambini dei piccoli adulti impegnandoli in tantissime attività che favoriscono l’autonomia, la socializzazione e l’espressione delle proprie inclinazioni, cui segue un’infantilizzazione dell’adolescenza, in cui i genitori, con estremo ritardo, provano a mettere paletti e regole. Abbiamo creato una società dove è vietato fallire, molto individualista, dove è venuta meno la comunità educante e conta il successo e la popolarità. Inoltre i figli sono più programmati, e sono perciò spesso investiti di attese. Chiediamo a questi giovani di non essere mai tristi perché sennò questo sarebbe la cartina di tornasole della nostra incapacità genitoriale.
Penso che sia utile che genitori e docenti siano consapevoli che non esiste una ricetta magica del genitore o dell’insegnante perfetto. La famiglia deve ascoltare il dolore, chiedere come va oggi in internet e non solo come è andata a scuola. Quando hai delle figure adulte troppo impegnate a sentire che stanno facendo bene il loro mestiere, che sono adatte e che lo stanno facendo per te, dopo è difficile per un ragazzo dire come stia davvero, perché vede che gli adulti sono troppo angosciati. Spesso i genitori mi chiedono “Possiamo essere amici dei nostri figli?”. Se c’è una cosa che fa soffrire i ragazzi, è il genitore amico. Hanno bisogno di altro, cioè di adulti che si trasformino in modelli da seguire, non per imposizione, ma perché si sono conquistati il riconoscimento sul campo. Hanno bisogno di adulti autorevoli e stabili. Se vogliamo diventare questo tipo di adulti, ricordiamoci cosa significa crescere nella società di oggi, che esige adattamenti e sforzi diversi dal passato. Ogni adolescente non è una categoria, è una persona con una traiettoria unica che merita adulti che lo guardino, lo valorizzino e notino la sua sofferenza. Anziché dare la colpa ad Internet, Facebook, Instagram, TikTok, i genitori dovrebbero chiedere “Come mai sei triste oggi?”. Ricordiamo l’importanza di esserci, come per dire “Ci sono io che con le mie spalle larghe, emotivamente parlando, contengo e accolgo quello che tu mi porti. E lascio che tu sia per come stai in quel momento”.
A cura di:
Chiara De Battisti
Psicologa
Specializzanda in Psicoterapia Sistemico-relazionale (Centro Padovano di Terapia della Famiglia)
chiara.debattisti@ordinepsicologiveneto.it
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